Preso dal suo profilo FB, il ritratto che Massimiliano Mascolo, giornalista RAI e scrittore, fa di Vincenzino Rossi.
“Per tutti era Vincenzino. Perché era piccolino, gentile, educato. Ma sul campo di calcio sapeva diventare coriaceo, tignoso, spregiudicato. Glielo dettava l’istinto, da calciatore cresciuto nelle interminabili partite in strada: due giacconi per terra, un pallone rimediato, vince chi arriva prima a dieci. Glielo suggerivano le capacità tecniche, di chi sa dare del tu al pallone, e insieme a quelle il temperamento non docile, di chi vuole tentarle tutte prima di dichiararsi battuto. Glielo imponeva il ruolo. Calciatore della Viterbese, la squadra della sua città, all’inizio nel settore giovanile (capitano addirittura nelle varie categorie), poi in prima squadra per sette stagioni, non tra le migliori per i risultati ma sempre indimenticabili per i tifosi che potevano quantomeno applaudire o criticare calciatori nati e cresciuti nella Tuscia, salvo pochissime eccezioni.
Di quei calciatori Vincenzino è stato il più amato. Era il ragazzo della porta accanto, aveva il sorriso buono e la faccia pulita, e poi per quella maglia gialloblu buttava sul campo tutte le energie. Quando si ruppe una gamba, dopo avere segnato il gol decisivo in una delle 137 partite in prima squadra, sullo stadio calò una cappa di silenzio e di dispiacere. Ennio Conti – buonanima – si inventò una specie di diretta tv dall’ospedale, con il letto, il gesso e Vincenzino che esortava i suoi compagni a non mollare, che sarebbe rientrato presto. Lui che era il figlio di Franco “il Capello”, che orgoglioso ma non invadente ne osservava in silenzio la carriera; lui che era l’amico di Bic, Lando, Giovannino, dei tifosi in curva o alla Prato Giardino, delle discussioni interminabili al Bar Centrale. Lui che la fidanzatina l’aveva poi sposata presto, e che presto decise che il calcio cosiddetto moderno non gli piaceva, e quindi scelse di dedicarsi ai piccolissimi, ad insegnare con pazienza e passione i segreti di quella sfera che sapeva maneggiare così bene. E sempre, quando ti incontrava, magari nelle soste di un lavoro faticoso e impegnativo, ci scappava un accenno alla “sua” Viterbese, che fosse in serie C o in Eccellenza era la stessa cosa.
Ho qui sullo schermo del pc tante foto di Vincenzino, ma la più bella mi sembra questa. Squadra allievi della Viterbese, vittoria nel torneo Perla del Tirreno, a Santa Marinella. L’anno dovrebbe essere il 1979. Le maglie sono quelle che la prima squadra aveva usato l’anno prima, l’allenatore è un impettito e fierissimo Fernando Nobili che in panchina trasmetteva un senso di serietà ed eleganza; con la squadra pochi dirigenti, tutti viterbesi, a cominciare dall’immancabile Sozio. I giocatori: quella sera avevano vinto, tante altre partite non sono riusciti a portarle a casa, quasi nessuno ha fatto carriera, qualcuno purtroppo ci ha già lasciato: Vincenzo è lì con la sua fascetta del capitano, il sorriso soddisfatto del vincitore e lo sguardo buono che abbiamo incrociato mille volte. Sarebbe bello se almeno le squadre giovanili della Viterbese, nel prossimo weekend, gli dedicassero un minuto di raccoglimento.
I funerali domattina alle 10 alla chiesa della Mazzetta.”